La vita “grama” del rievocatore

La vita "grama" del rievocatore

Si alza all’alba, torna a notte fonda. Non teme i disagi, si adatta alle condizioni più difficili, spera sempre nella clemenza del tempo. Se piove, attende stoicamente che smetta. L’attendere fa parte del suo lavoro.

La fatica che fa è notevole e grandi sono le difficoltà che deve superare, in quanto i tempi sono quello che sono, e lui (o lei) non ci guadagna nulla. Anzi, quello delle spese è un tasto dolente: se l’organizzazione dell’evento è di parola, il gruppo copre giusto giusto il vitto e le spese di viaggio. Altrimenti non resta che arrangiarsi.

Ma il rievocatore è uno che sa il fatto suo, la “storia” la fa per vocazione. Certo il divertimento è fondamentale: una bella cena annaffiata con birra e vino e coronata da un bicchiere di nocino o ippocrasso (magari fatti in casa), insieme al piacere di stare in compagnia e di condividere le cose belle in cui si crede, ripaga delle fatiche della giornata.

Il giorno prima carica il mezzo, cercando di non dimenticare nulla (non come ad Albenga, quando abbiamo dimenticato la rete battifreccia e ci siamo arrangiati con del materiale edile recuperato sul posto, o a Leno, quando abbiamo dovuto ingegnarci per tenere in piedi la nostra tenda senza il suo palo centrale. Certo la nostra bandiera non la dimenticheremo più, da quando è stato stabilito di conservarla nella cassa delle birre!)

La mattina dopo si parte di buon’ora, sperando che tutti i componenti del gruppo siano solerti nel presentarsi all’ora stabilita. Si viaggia, e all’arrivo si scarica tutto il materiale, per iniziare finalmente a montare l’accampamento.

Conclusi i preparativi e indossati gli abiti d’epoca, inizia l’attesa del pubblico. Perché quello che conta, alla fine, è il pubblico. Quel pubblico così eterogeneo, fatto di persone di ogni età, di ogni cultura e di ogni provenienza.

Se si riesce a essere rapidi, chiari e sintetici, senza usare paroloni nel rispondere alle mille domande, l’interlocutore sarà conquistato, e chissà che non gli nasca la curiosità, la voglia di sapere, di fare ricerche.

Importante è anche crescere insieme. Un sacco di iuta, una tunica o un’armatura non bastano da soli a fare Medioevo. Certo lo spettacolo attira le masse, ma da solo non può bastare, e solo con un’adeguata preparazione tecnica, una spiccata e puntuale conoscenza del periodo, del significato e dell’uso degli oggetti, dei colori, dei gesti, la rievocazione arriva a essere qualcosa di più di un guazzabuglio fantasy.

Del resto per calarsi davvero nella storia, non si può improvvisare. Bisogna studiare, e se si è particolarmente creativi provare a dedicarsi all’archeologia sperimentale, cercando di riprodurre i manufatti seguendo le tecniche antiche.

Abbattendo le barriere del tempo, il rievocatore impersona uomini e donne del passato che parlando un linguaggio attuale possono accendere (o riaccendere) l’amore per la storia.

Solo in buona compagnia possiamo intraprendere questo viaggio, perché nel gioco siamo sì arcieri antichi, ma non uomini antichi. Perché solo quando riusciremo a costruirci una profonda coscienza storica, fatta di credenze popolari, di fede, di paure e di valori passati, riusciremo a immergerci totalmente nel personaggio della rievocazione.

Certo per uomini abituati al razionale, quali siamo noi, risulta difficile percepire quelle sensazioni, ma chissà che una sera, seduti intorno al fuoco, avvolti nei nostri mantelli, dimentichi di orologi, sigarette e telefoni e parlando di quel passato, non si riesca a farlo diventare presente, e avvicinarci a quella dimensione che per un po’ ci fa diventare anche antichi arcieri.

[Wallace]